Il principio comunitario “chi inquina paga” in Italia non vale
Insostenibile, iniqua, ingiustificata. La TARI (tassa sui rifiuti) rappresenta ormai un peso inaccettabile per le imprese della ristorazione e della somministrazione.
Su bar e ristoranti gravano tariffe per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti che non hanno riscontro nella quasi totalità delle attività economiche e produttive del Paese. Solo i negozi di ortofrutta registrano un costo per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti più elevato.
Un peso che, nonostante la riduzione della produzione di rifiuti e le promesse di ogni Governo di diminuire la tassazione sulle imprese, è cresciuto, rispetto al 2017, in tutta Italia con tassi che superano il 5% per quanto riguarda i ristoranti e il 3,7% per bar e caffè. Un dato ancor più preoccupante, quello registrato nell’ultimo anno, considerando che proprio il 2018 avrebbe dovuto rappresentare una svolta. Dal 1° gennaio 2018, infatti, secondo quanto previsto dalla legge (comma 653 dell’art. 1 L. n. 147 del 2013) i comuni avrebbero dovuto avvalersi anche delle risultanze dei fabbisogni standard nella determinazione dei costi relativi al servizio di smaltimento dei rifiuti.
A distanza di quindici anni, invece, gli enti locali continuano ad utilizzare i coefficienti di producibilità del rifiuto riportati nel DPR 158/99. Eppure esperienze di misurazione, pur nelle peculiarità del caso per caso, danno conto di una produzione di rifiuto superiore a quanto desumibile sulla base dei coefficienti presuntivi per le categorie a bassa e media produzione di rifiuto e/o una produzione di rifiuto inferiore a quanto indicato dai coefficienti per le categorie a elevata produzione di rifiuto.
leggi l’intero articolo di Giulia Romana Erba pubblicato su Mixer ottobre 2019 in allegato
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