Carta dei valori della ristorazione italiana

30 Novembre 2021

Novembre 2021

Carta dei valori e delle azioni condivise

dagli imprenditori della ristorazione e dai cittadini delle belle contrade italiane.

Per le prossime generazioni.

Davide Rampello per FIPE

La mietitura, la vendemmia, la grande pesca,

la raccolta dei frutti, la nascita delle greggi

e degli armenti, erano appuntamenti con

il sacro e il profano per festeggiare il raccolto,

il frutto del lavoro, mettendo in comune il cibo,

il vino, la musica, la danza, l’allegria, la felicità,

per riconoscersi comunità festante.

Ogni festa svela, conferma una comunità.

Oggi stiamo iniziando a ri-coniugare il tempo del fare e dell’azione. Come vogliamo declinare questa opportunità? Consci che le catastrofi e le calamità sono contro la vita spirituale e contro qualsiasi sottigliezza e complessità, consci che le esperienze passate sono l’effetto della nostra vulnerabilità, è evidente allora che l’impellente necessità di ri-partire deve essere di fatto la cosciente determinazione di ri-nascere. Quale miglior modo di rinascere se non come comunità coesa e unita da un grande valore condiviso: la cultura.

Ma che senso e valore sociale vogliamo dare oggi a questa parola, che nella sua accezione comune pare assai generica e inadeguata ad esprimere il bisogno profondo di senso che tutti noi avvertiamo.

“Cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini. Ha cultura chi ha coscienza di sé e del tutto, chi sente la relazione con gli altri esseri.”

Antonio Gramsci, “Quaderni dal carcere”, 1935

Cultura deriva dal latino cultus, che pertiene a colere, “coltivare”. Fare cultura significa quindi “coltivare”. Ma “coltivare” cosa? A rischio di apparire a nostra volta generici, credo che l’unica possibile risposta oggi sia: “coltivare la vita”. Attivare cioè i sensi ed acquisire la consapevolezza di ciò che ci circonda.

Gli uomini colti sono infatti individui “coltivati”, capaci al tempo stesso di “coltivare” quotidianamente e in qualunque circostanza i frutti della vita, anche durante una quarantena.

Crediamo che fare cultura, oggi più che mai, voglia dire resistere a quel risparmio emotivo che ci allontana dalla partecipazione attiva, resistere all’apatia e ritrovare le strade del pathos, resistere alla morte dei sentimenti che preludono alla fine della vita stessa. Bisogna riappropriarsi della coscienza del sé e di quel “senso del tutto” a cui faceva riferimento Gramsci che, nell’Umanesimo, motivava la “curiosità” per ogni cosa di mercanti, artisti, uomini di scienza e di arme, “curiosi” del tutto, che si prendevano “cura” di

ogni cosa.

“Cura” di noi, “curatori” a nostra volta dell’altro da noi, “curatori tutti assieme” in una comunità che con l’arte dell’Ospitalità collabori a rammendare la società, aiutando gli uomini a fare ciò che solo gli uomini sanno fare: ideare, progettare, creare, immaginare nuovi mondi. L’uomo è “felice” quando è fertile, consapevole e libero di creare.

Nel Rinascimento, il principe, occupato nelle politiche di conquista, nei progetti commerciali e di valorizzazione delle arti e mestieri della sua signoria, mirava ad “ornare” il proprio potere con il fulgore del “decoro”, della “gloria”, della “fama”. A corte, nei palazzi ducali, ospitava e ragionava con letterati, astronomi, astrologi, alchimisti, matematici, poeti, servendosi per la rappresentazione della sua grandezza di architetti, pittori, musicisti e… scalchi. Ci ricordiamo i nomi dei principi, degli architetti, dei pittori, dei poeti, ma abbiamo dimenticato: Bartolomeo Scappi, Cristoforo Messisbugo, Gianbattista Rossetti, Antonio Latini e molti altri maestri di ospitalità, ideatori, creatori di feste e banchetti che mettevano in scena il “decoro”, la “gloria”, la “fama” del signore. Coltissimi gentiluomini, finissimi umanisti che furono di fatto i primi compilatori e valorizzatori del patrimonio delle diversità agrarie ed enogastronomiche delle “terre italiche”. Compilatori maniacali di infiniti elenchi di varietà di pesci, volatili, animali, formaggi, salumi, ortaggi, erbe, frutta, dolci, spezie e vini. Consapevoli eredi della cultura latina, elaborarono “ricettari”, “strumenti e tecniche di cottura e servizio”. Conoscitori e interpreti delle lettere, delle scienze umanistiche e delle scienze sceniche, elevarono l’arte dell’elaborazione delle vivande, l’arte dell’accoglienza e dell’ospitalità, contribuendo alla narrazione e alla diffusione della cultura Rinascimentale e Barocca in Europa e nel mondo.

Queste storie, le storie della nostra agricoltura, dei nostri paesaggi, delle nostre città, borghi e paesi, sono “l’alimento” vero della nostra “ri-nascita”, di voi imprenditori della ristorazione, di noi tutti cittadini di questo Paese della Bellezza. Come raccomandava alla fine del XVII secolo Antonio Latini nel suo “Scalco alla Moderna”: “dovremmo essere tutti di genio pronto, vivaci, cortesi nel tratto, candidi nelle maniere, amici delle virtù, nemici dei vizi, cercando di dare la salute ai nostri ospiti, dando buoni cibi secondo le stagioni. Essere affabili con tutti i nostri collaboratori, riflettendo che l’asprezza nel comandare partorisce odio e fabbrica ruina. Per la ‘gloria’ della nostra condotta e il decoro del nostro paese.”

Abbiamo iniziato questi ragionamenti, ricordando le feste sacre e profane che nelle nostre contrade si facevano per celebrare e onorare il “raccolto”, la mietitura, la vendemmia, la grande pesca etc. La condivisione del cibo, del vino, del canto, del ballo e, soprattutto, la condivisione dell’allegria e della “felicità”. Felicità deriva dal greco fyo, ovvero “produco”, “faccio”, “genero”, da cui il latino felix, che vuol dire “fecondo”, “fertile”. L’uomo quando fa, genera, produce, prova un sentimento che ha chiamato: Felicità. Di questa “felicità”, dobbiamo continuare a ragionare assieme, della sua “festa”.

Virgilio, nelle Georgiche, con la magia della sua poetica, ci restituisce l’armonia di quel tempo in cui il sacro e il profano vivevano nell’animo meravigliato degli uomini: “Ora con te, o Bacco, farò poesia… Vieni qua giù, o Padre, vieni Torchiatore. Qua tutto abbonda delle tue grazie: per te, il podere si avvia fruttuoso tra i pampini dell’autunno, e la vendemmia spumeggia, riempiendo i tini, vieni qua giù, o Padre, vieni Torchiatore: togliti i calzari, e diguazza a gambe nude con me nel mosto nuovo.”

Le vendemmia e la mietitura, il raccolto del grano e dell’uva, il pane e il vino, il convivio, la relazione, l’ospitalità. Le comunità, le società, la cultura dell’uomo occidentale nascono attorno a questi “alimenti” che, assieme all’acqua e all’olio, rappresentano per la fede cristiana il ciclo sacro della vita. Feste di genti, feste di popolo. Nelle taverne, nelle osterie, locande, trattorie, pizzerie, caffè, ristoranti, in tutti quei luoghi diversi per storie, per arredo e offerta di vivande, ma animati tutti dallo stesso sentimento, dalla stessa arte: “l’Ospitalità”. Qui, si compie il rito più antico e più amato: il “Convivio”, il “vivere assieme”. Queste ecclesie laiche sono luoghi indispensabili per il mantenimento e il riconoscimento della comunità dove, abbandonati all’esperienza dei sapori, disponibili alla desistenza delle diffidenze, rinnoviamo in noi il soffio vitale che solo il “nutrimento” garantisce al corpo e allo spirito.

Ogni territorio possiede, grazie al genius loci e al saper fare dei suoi protagonisti, dei veri “Beni Culturali Viventi” e, inoltre, ogni luogo esprime nel paesaggio, nel patrimonio architettonico, pittorico, letterario, musicale, ambientale, la testimonianza viva delle proprie tradizioni. Le taverne, osterie, locande, trattorie, pizzerie, caffè, ristoranti, gestiti da imprenditori consapevoli di tutto ciò, sono o possono diventare delle vere e proprie “agenzie” di tutela e valorizzazione del territorio. Imprese che con il lavoro e il loro impegno, possono contribuire a sostenere e promuovere le economie e le diversità culturali della propria regione. Questo è il cambiamento profondamente culturale a cui tutti siamo chiamati.

Ri-iniziamo a raccontare di noi, delle nostre comunità, dei nostri borghi e paesi, dei nostri paesaggi e città, dell’animo delle nostre genti, donne e uomini alimentati nello spirito e nel corpo da una comune-unione che si fonda sull’arte più antica e preziosa: l’Ars Agraria. Marsilio Ficino, nel XV secolo, definiva la campagna: “il giardino fuori città”, tanto era mirabile la cura che gli ortolani, i vignaioli, i bovari, i pastori, i contadini tutti ponevano nel lavorare, coltivare la terra. Montaigne, Montesquieu, Goethe rimanevano stupiti, ammirati dal paesaggio che la sapienza e il lavoro delle “italiche genti” offriva al loro desiderio di conoscenza ed esperienza.

È per noi tutti evidente che l’inesauribile quantità di storie della nostra cultura – materiale, immateriale, artistica – sono il patrimonio che può dare più senso e valore al lavoro del nostro quotidiano, all’interminabile ricerca dell’arte della Cucina e della Tavola. La ricchezza, la varietà delle vivande ci emoziona con i suoi sapori, profumi, consistenze… Pani, oli, salumi, insaccati, formaggi a pasta dura e pasta filata, ricotte, paste, paste ripiene, paste condite, brodi, risotti, minestre, verdure, legumi, fritti, carni succulenti, frutti di mare, pesci dai colori e sapori mediterranei, frutta maturata al sole e venti delle nostre terre, dolci, paste secche e lievitate, sorbetti, gelati cremosi e fragranti, caffè, liquori d’erbe, distillati, birre gelate e dissetanti e… vini, vini, vini. Noi siamo “l’Enotria”, la terra del vino.

Tutto questo creato da donne e uomini colti che sanno preparare, maturare, trasformare le ricchezze che i nostri territori producono. Tutto questo elaborato, composto, cotto da mani che quotidianamente rinnovano i saperi di una famiglia, di una tradizione o da mani di geniali creatori che quotidianamente ricercano nella qualità estrema il sapore assoluto. Tutto questo è ricchezza, ma per la sua infinita varietà, può diventare fragilità, frammento, vulnerabilità.

Gli imprenditori della ristorazione, ora più che mai, devono essere consapevoli che si debba scegliere un percorso unitario e condiviso, ma l’unità, la vera concretezza negli obiettivi, gli uomini la raggiungono quando credono e condividono competenze, talenti, qualità, valori: concretezza viene da cum-credere, ovvero avere fiducia, credere assieme. Le cose diventano quindi “cumcrete” se sono “cumcredute”.

Valori da condividere

Economia – Comunità – Cura – Cultura – Memoria – Ambiente

Economia

È evidenza comune l’importanza economi- ca fondamentale che le imprese della ristora- zione hanno nella vita del paese. Ma sta nella consapevolezza di ogni imprenditore la volon- tà, la cultura, la cura di essere con la propria impresa qualcosa di più, una vera e propria “agenzia” che sostiene l’economia del territo- rio e ne promuove i saperi.

Comunità

Sempre maggiore dovrà essere la consape- volezza che i luoghi del Ristoro, dell’Ospitali- tà, hanno una fondamentale funzione sociale, contribuendo alla vigilanza e al rammendo del tessuto collettivo.

Cura

Prendersi cura di, cura di noi, per una miglior cura dell’altro. Tutti insieme per una comunità della cura che perfezioni ed esalti la civiltà dell’Ospitalità e della Ristorazione Italiana.

Cultura

Sentimento che deve guidare le nostre scelte. Declinazione di “colere”, “coltivare”, metafora che da millenni è fondamento del genius loci, dei talenti dell’operosità, del senso profondo del bello, del vero, del buono, del giusto, la cui sintesi è: Bellezza.

Memoria

Recupero e valorizzazione delle culture agrarie, delle archeologie vegetali, degli usi e costumi, delle feste, dei riti, delle fiere, delle comunità della montagna, della pianura, dei borghi, del mare, delle acque dolci e delle lagune.

Recupero e valorizzazione della trattatistica e archivistica che documentano l’enorme importanza che le arti e scienze gastronomiche e la loro rappresentazione hanno avuto per la cultura italiana e occidentale in genere.

Memoria è madre delle muse. È evidente che senza Memoria non si generano né Scienza né Arte. La contemporaneità si vive e crea nella consapevolezza della Memoria.

Ambiente

L’ ambiente si difende anche a tavola, con la qualità del cibo. Cibo prodotto nel rispetto e cura della terra e degli uomini e delle donne che la lavorano, la coltivano, mantenendola fertile e generosa.

Azioni da condividere

Festa – Formazione

Festa

In collaborazione con il Ministero delle Politiche Agricole e il Ministero del Turismo, realizzeremo una Festa popolare, inclusiva, solidale e profondamente etica: la Festa dell’Ospitalità per la Cultura della Ristorazione Italiana, un evento nazionale coordinato in tutto il paese, che celebra e valorizza un tema fondamentale per il mondo della ristorazione, l’ospitalità.

Formazione

È necessario e urgente creare un’accademia per la Cultura e l’Impresa della Ristorazione Italiana. Il patrimonio culturale, economico, sociale che questa attività rappresenta, l’importanza strategica che l’ars coquinaria ha per la valorizzazione e narrazione del patrimonio agroalimentare, e per una consapevole industria del turismo, impongono la creazione di un istituto che possa garantire la più elevata formazione alle nuove generazioni di imprenditori, preparandoli alla cultura di impresa, del fare rete, alla consapevolezza di esser parte di un sistema complesso e prezioso che deve esprimere e assicurare una sempre maggior qualità, efficienza, valore alle nostre taverne, osterie, trattorie, locande, caffè, pizzerie, ristoranti, per la Cultura, l’Economia, la Felicità del nostro Paese.

“Dovremmo essere tutti di genio pronto, vivaci, cortesi nel tratto, candidi nelle maniere, amici delle virtù, nemici dei vizi, cercando di dare la salute ai nostri ospiti, dando buoni cibi secondo le stagioni. Essere affabili con tutti i nostri collaboratori, riflettendo che l’asprezza nel comandare partorisce odio e fabbrica ruina. Per la ‘gloria’ della nostra condotta e il decoro del nostro paese.”

Antonio Latini, “Scalco alla Moderna”, Napoli, 1692

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