Rapporto Ristorazione FIPE 2025 | Ristorazione, l’occupazione sale a 1,5 milioni di unità ma cala il numero di imprese (-1,2%)

9 Aprile 2025

Il Censis ha definito il 2024 come l’anno dove in modo emblematico è emersa una tipica sindrome italiana: quella della medietà, dove il Paese si muove intorno ad una linea di galleggiamento senza “capitomboli rovinosi né scalate eroiche”.

È questa in un certo senso una buona sintesi anche dell’anno della ristorazione italiana, laddove, rispetto al periodo pre-pandemico, i consumi aumentano di valore (+11,3%), ma diminuiscono di volume (-6%) e il saldo tra le imprese che hanno migliorato il risultato economico e quelle che l’hanno peggiorato resta positivo (+26,2%), ma è comunque parecchio inferiore al saldo di un anno prima (+34,5%). Similmente, anche altri dati confermano questo andamento timido. Il trend positivo dell’occupazione – ad esempio – si consolida, con 70mila occupati in più e un +6,7% rispetto al 2023, eppure la capacità attrattiva del settore sembra indebolita con una difficoltà ormai strutturale a reperire personale e – quasi – una rinuncia alla speranza di trovarlo qualificato. Solo una minoranza delle imprese sfrutta per reperire personale le sinergie con istituti di formazione, il 70% di affida ancora al passaparola, con impatti inevitabili anche sulla produttività aziendale.

Il mismatch tra domanda e offerta di competenze, insomma, continua ad aumentare la sua forbice, eppure questo settore rimane sopra media per quanto riguarda le categorie demografiche che rendono più dinamico il mercato imprenditoriale: giovani, donne e stranieri scelgono i pubblici esercizi con più intensità che in altri comparti quando si tratta di mettersi in proprio. Vero è tuttavia che il numero di imprese del settore è in leggero calo, 328mila in totale, con lo spostamento del modello di offerta tendenzialmente dal bar al ristorante.

Le debolezze che attraversano il settore hanno come causa (e forse sono anche come conseguenza) la narrativa: ovvero come il settore viene raccontato e percepito, aspetto che non si confina all’evanescenza di storytelling, ma ha impatti pesanti sui conti economici delle aziende. Il “fuori casa” soffre infatti di una crisi di reputazione sul versante del lavoro dipendente, tra nuove aspirazioni e minore propensione al sacrificio in lavori dove per forza di cose non esiste lo smartworking e i canonici orari d’ufficio. Ma la reputazione del settore soffre anche sui prezzi: se è vero, infatti, che nel 2024 il mondo della ristorazione ha avuto un tasso di inflazione superiore a quello generale (+3,2%; nel 2023 era +5,8%), l’adeguamento dei listini -come avviene in generale per i servizi- arriva più lentamente rispetto a quello dei beni e nel post Covid i prezzi del fuori casa sono cresciuti meno dell’aumento complessivo.

Sta di fatto che l’Italia rimane molto competitiva rispetto al resto d’Europa per prezzi della ristorazione e questo, unito al lifestyle italiano e la socialità di cui proprio la ristorazione è bandiera del Paese, ci rende estremamente concorrenziali nella scala di scelta del turista straniero. Tuttavia, un vantaggio competitivo dipendente dall’estero e fondato sul prezzo non basta ad assicurare il successo in un mercato che cambia negli assunti di fondo e che consolida ormai la necessità di un’evoluzione dell’offerta sia in termini manageriali sia in termini di proposta commerciale, con crescente attenzione alla sostenibilità, alla socialità e alla salute. Anche perché il 2024 ormai conclama che il consumo “fuori casa” per gli italiani è considerato come non fungibile rispetto al pasto casalingo: se si sceglie di uscire per mangiare lo si fa perché ne vale la pena in termini di esperienza e benessere, individuale e sociale. E questo non può che far riflettere profondamente gli operatori e chi, come FIPE-Confcommercio, li rappresenta e li accompagna nel futuro del Paese.

Lino Enrico Stoppani

Presidente Fipe-Confcommercio

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