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Assemblea 2021 – All’incrocio dei venti: i Pubblici Esercizi punto di incontro (tra filiere) del Paese.

18 Novembre 2021

Relazione del Presidente Lino Enrico Stoppani

L’assemblea FIPE ritorna “in presenza”, con la presenza contingentata di Soci e Ospiti, aspetto che ha la sua importanza, non solo per la possibilità di confronto diretto, ma anche perché indica che l’emergenza sanitaria che ha sconvolto le nostre vite oggi sembra quantomeno sotto controllo.

La nostra Assemblea torna con un tema particolare: un patto tra le filiere per il Paese, che risponde alla necessità di rafforzare una visione comune e condivisa sui grandi temi dell’enogastronomia e del turismo del nostro Paese. Torna alla mente la riflessione che Papa Francesco ha fatto poche settimane fa alla BBC: La lezione più importante che queste crisi ci trasmettono è che è necessario costruire insieme, perché non vi sono frontiere, barriere, mura politiche, entro le quali potersi nascondere.”

Noi di certo non ci nascondiamo. Ed è questo lo spirito di collaborazione a cui anche i diversi settori economici sono oggi chiamati per curare, da una parte, le dolorose ferite che la pandemia lascia e, dall’altra, per affrontare le sfide dei cambiamenti, accelerati proprio dall’emergenza, sui modelli di consumo, sugli stili di vita, sulla transizione digitale ed ecologica.

Siamo davanti a nuovi scenari che comportano anche nuove opportunità che, tuttavia, richiedono cambiamenti complessi e invasivi.

La pandemia ha devastato la Ristorazione e ha scosso nel profondo la rete dei Pubblici Esercizi italiani: al riguardo basta rifarsi ai “bollettini di guerra” di FIPE – come li chiamò in modo molto incisivo il Ministro Giorgetti dopo un nostro incontro in primavera. Eppure, quasi paradossalmente, il nostro settore in queste difficoltà inaudite ha anche rafforzato il suo ruolo e la sua funzione, economica e sociale.

Innanzitutto, anche se l’avremmo volentieri evitato, abbiamo avuto la dimostrazione tangibile che, spegnendo i Pubblici Esercizi, si sono spente le nostre città, offrendo un desolante panorama, foriero di pericolose patologie e quel disagio sociale che indebolisce poi la qualità della vita delle persone, la vivibilità, il decoro e la sicurezza dei luoghi.

Disagio e malessere, soprattutto giovanile, trasformato in parole, musica e spettacolo dai Maneskin, straordinari interpreti di una generazione molto tormentata e che non sempre trova la strada dell’impegno.

Citazione che serve per ricordare che con i locali pubblici è stata spenta anche la Musica del mondo dell’intrattenimento, favorendo abusivismo e pirateria.

Al Presidente Mogol e alla SIAE riconosciamo una apprezzata doppia sensibilità: aver riconosciuto il differimento della scadenza dei termini di pagamenti e sconto sulle tariffe dovute

dalla diffusa rete di Pubblici Esercizi, oltre che aver voluto indirizzare ai nostri imprenditori, nel giugno scorso, un affettuoso augurio in occasione della ripartenza dopo il lungo lockdown.

La pandemia ha quindi dolorosamente dimostrato la nostra importanza per la vita sociale, ma non solo. Chiusure e limitazioni per bar e ristoranti hanno strozzato la filiera che sta a monte delle nostre attività – in primis agricoltura e industria alimentare – a cui è mancato un importante sbocco naturale di mercato.

Nel 2020, a fronte di una crescita dei consumi alimentari domestici di 3 miliardi di euro, i consumi fuori casa sono diminuiti di 30 miliardi, dieci volte tanto: non credo sia necessario aggiungere altro per comprendere l’impatto della Ristorazione sull’intera filiera.

Per non parlare delle produzioni di eccellenza o di nicchia rispetto alle quali il nostro settore rimane il prevalente, quando non l’unico, canale commerciale, anche a causa delle peculiarità del modello distributivo italiano, caratterizzato da una forte componente della Distribuzione Organizzata rifornita dalle grandi centrali di acquisto.

La Ristorazione è il terminale diffuso di una lunga filiera fatta di agricoltori, allevatori, pescatori, casari, vignaioli e tanti altri

produttori agricoli, artigianali e industriali, da cui acquistava, prima della pandemia, circa 20 miliardi di euro di materie prime.

Se siamo orgogliosamente l’ultimo miglio della filiera enogastronomica italiana, d’altra parte, la Ristorazione ha anche la responsabilità di fondamentale componente intermedia di un’altra catena del valore, anzi due: quella turistica e quella del Made in Italy.

Come si dice nella “Carta dei Valori”, elaborata per Fipe da Davide Rampello, che oggi presentiamo, le nostre eccellenze enogastronomiche sono strategici “beni culturali viventi”, a cui proprio la Ristorazione dà corpo, rinnovamento e racconto.

Mi piace d’altro canto moltissimo la definizione di Identity place coniata dal Presidente Sangalli, perfetta per la rete de “Gli Storici” che si sono organizzati in Fipe, che rappresentano uno straordinario esempio di identità e comunità fatta luogo.

Il mondo oggi mangia e vuole mangiare italiano. Lo testimonia anche una ricerca dell’Università del Minnesota, che ha costruito la bilancia commerciale virtuale della ristorazione, equiparando all’export quando si consuma la cucina di un paese all’estero e, viceversa, all’import quando si consuma in quello stesso paese la cucina straniera.

Il risultato assegna all’Italia il 1° posto, con un saldo positivo di

168 miliardi di dollari e un distacco enorme con il secondo classificato, il Giappone a 48 miliardi. I rinomati cugini francesi sono solo al 6° posto con 10 miliardi.

Sono belle soddisfazioni. Peccato che i numeri delle economie restituiscano, poi, ben altri risultati, su cui pesano le troppe scorrette pratiche commerciali e il vergognoso fenomeno dell’Italian Sounding, che riguarda non solo i finti prodotti italiani, ma anche i ristoranti italiani all’estero, che di italiano hanno solo una spesso farsesca assonanza del nome.

Ci fa piacere sottolineare che proprio oggi, in contemporanea e con la partecipazione anche di rappresentanti della Federazione, il Ministro degli Affari Esteri Luigi Di Maio lanci “La settimana della cucina italiana nel mondo”, valorizzando anche un accordo da noi sottoscritto con ITA – Italian Trade Agency – per dare nuovo impulso qualitativo alla rete dei (veri) ristoranti italiani all’estero, quali ambasciatori delle nostre eccellenze alimentari.

In generale è necessario, e urgente, che il Paese si doti di una politica di sistema sulla Ristorazione, seguendo il virtuoso esempio di tanti altri paesi che, pur non avendo la nostra storia e le nostre eccellenze, hanno investito sul comparto, perché consapevoli del suo grande valore economico, identitario ed attrattivo.

È singolare infatti che la ristorazione non sia oggetto di politiche strutturali di settore mirate a rafforzarne lo sviluppo e a ridurne i tanti gap strutturali che l’affliggono, ricorrendo per lo più a misure di emergenza.

È solo un esempio, ma emblematico: il Premio internazionale di cucina dedicato al grande chef francese Paul Bocuse vede primeggiare da anni soprattutto giovani cuochi del Nord Europa, con i nostri rappresentanti in posizioni di coda non tanto per questioni di merito, ma piuttosto per un deficit organizzativo che denota un appoggio poco convinto da parte del sistema Paese.

Per vincere bisogna giocare come una squadra, nelle gare internazionali, ma anche e soprattutto come Sistema-Paese. Going alone is simply not an option” ha detto il Premier Mario Draghi all’ultimo G20. Ed è altrettanto vero per il nostro settore: andare da soli semplicemente non è più una possibilità.

Serve un soggetto o un tavolo che svolga una funzione di regia, con una visione unitaria e complessiva di tutto il comparto, in grado, cioè, di fare un vero lavoro di raccordo e integrazione di filiera, tra agricoltura, industria alimentare, distribuzione e ristorazione, anche per favorire il nostro export.

Si comporrebbero così probabilmente anche le frizioni dentro la filiera, che spesso penalizzano proprio la Ristorazione, le cui competenze vengono rimpallate tra tre Ministeri – Sviluppo

Economico, Politiche Agricole e Turismo –, la cui somma delle attenzioni dedicate non raggiunge la soglia delle necessità di settore.

Con questo lavoro condiviso e politiche dedicate si potrebbero inoltre affrontare – e forse sanare – i mali storici ed endemici del settore, a partire da quelle asimmetrie di regole, che scivolano troppo frequentemente in concorrenza sleale, in strisciante dequalificazione e despecializzazione, nella diffusione di patologie di forte rilievo anche sociale (malattie cibo-alcol correlate, “mala-movida”, infiltrazione malavitose, etc.).

Oggi più che mai, tuttavia, il nostro mondo presenta due principali problemi: la produttività e l’attrattività. Il primo -la produttività– scoraggia gli investimenti, allontana nuovi capitali, impedisce migliori retribuzioni. Il secondo – l’attrattività – proietta un’immagine distorta del settore, non reputato sufficientemente rassicurante per investire nelle sue professioni, creando grandi problemi anche per il mantenimento e il rafforzamento del capitale umano attualmente impiegato.

Se a questi problemi di lungo corso si aggiungono l’incertezza delle prospettive post-Covid e le distorsioni create dalle generose politiche di sussidio, si spiegano le difficoltà di reperimento di personale e risorse umane adeguate, mentre prosegue un’emorragia di competenze in uscita dal nostro settore.

Il rinnovo del nostro CCNL in scadenza il prossimo 31 dicembre sarà un passaggio decisivo, ma nel frattempo le politiche economiche finalizzate ad accrescere la dotazione di capitale umano nel Paese non possono rispondere a logiche fuori mercato, anche di forte componente ideologica, come l’abolizione dei voucher ha dimostrato.

Le conseguenze si vedono, anzi, si pagano. E dopo la crisi del COVID il prezzo di questi errori è diventato ancora più alto.

Penso ad esempio all’imprenditoria femminile, che ha pagato un prezzo ancora più alto in questi due anni, soprattutto nel momento in cui alla componente di genere si aggiunge quella anagrafica: Unioncamere ha infatti più volte sottolineato che le imprese più colpite sono quelle delle donne under 35.

Proprio il settore che FIPE rappresenta è tra quelli che hanno i più alti tassi di imprenditoria femminile e giovanile (entrambi intorno al 30%). È quindi una responsabilità aggiuntiva del nostro settore

-e della Federazione- dare spazio e voce a queste componenti, ribaltando la debolezza in forza, difendendo e valorizzando il dinamismo e la ricchezza che le qualità di genere e generazione portano all’intera filiera.

Esistono poi anche delle difficoltà aggiuntive legate alle categorie. Ci sono, infatti, alcuni nostri settori come i Balneari, che all’incertezza della fase storica uniscono un problema in più, a

causa della recente sentenza del Consiglio di Stato che ha rimesso in discussione le prospettive delle concessioni demaniali.

Questo orientamento liberista, che si manifesta, però, a macchia di leopardo, viste le considerazioni e privilegi che alcune categorie e classi ancora mantengono, trasferisce nuove incertezze e preoccupazioni su 30mila imprenditori che operano in un settore vitale per il turismo italiano, che da troppo tempo vive in un limbo, tra deboli e confuse scelte politiche e sentenze giurisdizionali lontane dalla realtà sociale, ambientale ed economica del nostro Paese.

Il tema delle Concessioni e degli Appalti pubblici è materia complessa, che riguarda molti nostri associati: i sub- concessionari autostradali, gli esercenti giochi pubblici, le imprese della ristorazione collettiva, gli emettitori di buoni pasto.

Per tutti la certezza nella esecuzione dei contratti è vitale per misurare la sostenibilità delle proprie attività e la bontà dei propri investimenti.

In questa fase storica, tornando al tema del capitale umano, sarebbero quindi necessari due provvedimenti di breve periodo e un’azione prospettica.

Sul breve periodo, sarebbe infatti importante un intervento di decontribuzione dei salari, anche a tempo determinato o almeno

fino alla fine della crisi pandemica, utile a non aggravare il fenomeno della dispersione di competenze.

Andrebbe poi messa mano al “Decreto Flussi” per aumentare le quote di immigrazione da paesi terzi, per dare fiato a specifiche mansioni come lavapiatti, magazzinieri, fattorini e via dicendo, che non necessitano di qualifiche professionali, ma sono indispensabili a far funzionare il settore.

Qualcuno li ha sprezzantemente definiti lavoretti, tacendo tuttavia che proprio grazie a questi lavoretti molti giovani hanno potuto finanziare i propri studi e abilitare la propria vita, imparando e dando valore ai rapporti umani, alle gerarchie, al tempo, al denaro o hanno iniziato splendide storie imprenditoriali.

Messo in sicurezza il breve periodo, il settore necessita di un’azione prospettica: di politiche, cioè, i cui frutti raccoglieremo sul medio periodo, ma che sono vitali alla competitività presente delle nostre imprese.

Mi riferisco agli investimenti in innovazione e digitalizzazione non solo verso i consumatori, ma anche verso i processi di produzione, dall’analisi dei dati e delle abitudini di consumo, ai sistemi di prenotazione e gestione del magazzino, dalla tracciabilità delle produzioni, alle piattaforme di delivery, alla comunicazione on line, ai pagamenti cashless, alle casse intelligenti.

Sono investimenti che potranno discendere anche dall’attuazione del PNRR, che proprio nella transizione digitale ed ambientale, così come nell’inclusione sociale e nelle riforme come leva, individua delle linee di azione trasversali ma tassative.

Commentando il PNRR, qualcuno ha usato impropriamente l’espressione “la pioggia di soldi”, dimenticando che per almeno i due terzi questa somma andrà restituita e, quindi, a maggior ragione i soldi che arriveranno andranno impiegati bene, cioè con l’obiettivo di essere impiegate a beneficio delle prossime generazioni, non a loro spese.

E, a proposito di spendere bene, abbiamo apprezzato le parole del Ministro Garavaglia che proprio lunedì scorso, durante l’audizione in V commissione della Camera, ha chiarito come il nostro settore sia incluso fra i beneficiari del primo decreto attuativo chiamato a trasformare il Piano in Azione. Sappiamo quanto i Ministri Giorgetti e Garavaglia siano consapevoli dell’importanza strategica del nostro comparto – e la loro presenza odierna lo conferma –, e continueremo a puntare sul dialogo con tutte le forze politiche per continuare a dare segnali importanti e concreti in questa direzione. Perché è solo attraverso il dialogo, un faticoso confronto, anche duro, ma costruttivo, che si possono identificare ed implementare soluzioni per il bene del settore e del Paese.

Certo, pur con tutte le cautele che il momento impone, il Paese si sta riprendendo nei numeri e l’ottimismo che ovunque si

percepisce è giustificato dalle libertà guadagnate grazie alle vaccinazioni e alla credibilità delle istituzioni che oggi governano il Paese.

Permettetemi tuttavia di richiamare i grandi sacrifici richiesti al nostro settore, su cui si sono riversate gran parte delle misure restrittive adottate per il contrasto della pandemia. Per alcuni comparti è stata una strada più in salita che per altri.

Gli eventi e la convegnistica viaggiano a scartamento ridotto e le nostre aziende del Banqueting e Catering, costrette ancora a rigorose disposizioni sanitarie in tema di capienza e di distanziamento, sono forse al 50% dell’attività pre-Covid.

Le Discoteche sono state riaperte solo ad ottobre inoltrato, dopo oltre 18 mesi di fermo, con ferite probabilmente insanabili per molte di loro, peraltro presentando esternalità negative che non erano state considerate, come le difficoltà delle città a regolare flussi giovanili che non trovavano più lo sfogo dei giusti spazi di divertimento.

Non sottovalutiamo, inoltre, le due gravi incognite che pesano sul futuro dell’intero settore e dell’economia: inflazione e ripresa dei contagi.

La fiammata inflazionistica rischia di ridurre fortemente i consumi delle famiglie, rallentando anche la crescita nel 2022, a

causa della riduzione del potere d’acquisto del reddito disponibile delle famiglie e dall’erosione del risparmio detenuto in forma liquida; sulla riduzione dei consumi pesa, peraltro, anche l’aumento delle spese obbligate per il rincaro dei prezzi dell’energia, che si è già trasferito sulle bollette di luce e gas.

Le nostre imprese segnalano forti tensioni sui prezzi di acquisto delle materie prime e in taluni casi difficoltà di approvvigionamento ed è pertanto necessario un attento presidio da parte del Governo proprio per contrastare eventuali fenomeni speculativi.

Oltre l’inflazione, la seconda incognita è invece quella riguardante la ripresa dei contagi, che ci riporta come in un brutto sogno alla nefasta stagione delle chiusure e delle limitazioni.

Come ha ricordato il Presidente, nonostante ciò, molte piazze italiane sono agitate da gruppi minoritari contrari al vaccino e all’uso del Green Pass.

“I diritti sono sacrosanti, ma se continueremo a vivere di diritti, di diritti moriremo” sosteneva nel 2012 Sergio Marchionne, che non poteva immaginare che, nemmeno dieci anni dopo, di diritti si rischia di morire davvero, perché a forza di proteste senza regole, si rischia di condannare la lotta contro il virus all’irresolubilità.

La libertà è una parola che ha poco senso, soprattutto in democrazia, se non è accompagnata da quella di responsabilità, perché un conto è essere liberi, un altro è prendersi delle libertà!

Difficile sostenere che il nostro mondo non sappia cosa si provi ad avere una posizione di disaccordo con le disposizioni di legge o non abbia dedicato sacrifici personali a regole collettive, che poco ci vedevano consenzienti nel merito e nel metodo.

Anche noi abbiamo protestato e manifestato il nostro disappunto presso le istituzioni e la stampa. Anzi, siamo scesi in piazza, e più volte, per riottenere il nostro diritto di lavorare, ma lo abbiamo fatto con civiltà e compostezza; non per scarsa convinzione o buone maniere, ma per senso di responsabilità, decisi a non aggravare la fragile situazione sanitaria con comportamenti a rischio e determinati a non esacerbare la delicata situazione sociale con una protesta lasciata senza proposta.

Tra l’altro al danno collettivo si aggiunge la beffa al nostro mondo, nel momento in cui le proteste si svolgono il sabato nei centri di tante città italiane, penalizzando così proprio il mondo del commercio e dei pubblici esercizi, che si vedono ancora una volta impediti nel loro lavoro e nella faticosa arrampicata verso la ripresa.

A proposito di città, proprio la pandemia ci ha imposto un’approfondita riflessione sul tema della rigenerazione

urbana per contrastare il fenomeno della desertificazione e dequalificazione commerciale nelle città, innescato anche dallo sviluppo di nuovi modelli organizzativi del lavoro, di cui lo smart- working è solo un esempio.

Tra città e Pubblici Esercizi c’è un rapporto non solo storico, ma anche indissolubile e necessario; non esiste, infatti, una città vivibile, accogliente e sicura senza una rete di Negozi e Pubblici Esercizi che offrano servizi, che rafforzino identità ed attrattività di quei luoghi e che favoriscano coesione sociale.

Ecco, dunque, l’opportunità di continuare l’esperienza dei dehors nelle città, da considerarsi, pur tra alcune criticità per i residenti, come un’eredità positiva della stagione pandemica, non solo per i vantaggi che trasferiscono agli Esercenti, ma anche e soprattutto per la buona pratica in termini di sicurezza sanitaria che implicano.

A questo si aggiunga il ritorno che gli spazi di socialità all’aperto offrono alle stesse città, che sono state spesso rivitalizzate e accese, favorendo decoro, sicurezza, animazione e aggregazioni.

Non oso dire come il Presidente Sangalli che dovremmo essere pagati noi…ma certamente la semplificazione delle pratiche di occupazione suolo pubblico e le gratuità concesse per l’annualità 2021, vanno prorogate.

Su questo come su altre questioni attendiamo segnali concreti già nella prossima Legge di Bilancio.

Riconfermiamo l’auspicio a che la ristorazione sia pienamente inclusa nel bonus ristrutturazioni ammesso per le altre imprese del turismo, favorendo così un importante programma di investimenti finalizzato a migliorare le strutture e a renderle più efficienti anche sul piano energetico.

Come sa bene il Ministro Garavaglia, la riqualificazione dell’offerta è un obiettivo a cui il turismo italiano è chiamato da troppo tempo e le occasioni vanno raccolte.

E possono essere raccolte insieme, come tentiamo di fare oggi, facendo sistema, aiutandosi nel momento del bisogno, ma senza opportunismi.

Non vogliamo dunque aiutini o sussidi, ma politiche lungimiranti di sostegno e di sviluppo, perché alla Ristorazione e al fuoricasa italiano è connessa la qualificazione della nostra offerta turistica, la valorizzazione e promozione del nostro straordinario patrimonio agroalimentare, oltre che la coesione delle nostre comunità.

“Ogni crisi richiede visione, capacità di pianificazione e rapidità di esecuzione, ripensando il futuro della nostra casa comune e del nostro progetto comune.” L’ha detto Papa Francesco nell’intervento che citavo all’inizio.

Con queste parole concludo questo mio intervento, augurandoci di essere capaci di costruire insieme quel progetto comune, che è la casa di un futuro migliore.

Grazie.

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