Mixer nov. 22 – Cosa ci aspetta?

10 Novembre 2022

ASSISTIAMO A UN PROGRESSIVO  RITORNO ALLA NORMALITÀ, MA SULLE IMPRESE PESA ANCORA L’INCOGNITA DEI COSTI ENERGETICI E DELL’INFLAZIONE

Giulia Romana Erba

Il secondo trimestre 2022 è stato caratterizzato da un incremento del fatturato delle imprese di ristorazione, tuttavia il caro-bollette preoccupa le imprese e determina un peggioramento del clima di fiducia che diminuisce in modo significativo a settembre per il terzo mese consecutivo, raggiungendo il valore più basso da aprile 2021.

Il livello del fatturato si è attestato, nel complesso, su valori superiori a quelli di fine 2019, ma con notevoli differenze tra settori. A mostrare le maggiori difficoltà sono stati quelli più penalizzati dalle misure di contenimento dovute all’emergenza sanitaria, come l’alloggio e ristorazione e i servizi alle imprese che tuttavia nel secondo trimestre di quest’anno mostrano una significativa capacità di resilienza.

I NUMERI

L’indice grezzo del fatturato delle imprese della ristorazione (valore corrente che incorpora la dinamica sia delle quantità sia dei prezzi) è cresciuto rispetto al II trimestre del 2021 del 67,9% e del +9,8% rispetto allo stesso periodo del 2019. L’incremento segnala un progressivo ritorno alla normalità soprattutto a seguito del cessato stato di emergenza ma occorre ricordare che nel 2021 il settore era ancora sottoposto a importanti misure restrittive dell’attività.

Sui buoni risultati del I semestre pesano alcune pesanti ipoteche che riguardano la dinamica inflazionistica, una politica monetaria meno espansiva e il persistere della difficile situazione geopolitica con i noti effetti sull’approvvigionamento delle materie prime, in particolare di quelle energetiche. Al fine di contenere gli incrementi dei costi derivanti dalla componente energetica registratia partire dall’ultimo trimestre del 2021, che ad oggi hanno portato il costo delle utenze a un livello insostenibile, le imprese rivedono i propri processi per sopravvivere.

Il rischio è di una riduzione marcata dell’attività delle imprese con possibili rilevanti conseguenze sui livelli occupazionali già gravemente impattati dagli effetti della crisi pandemica. A livello generale stiamo parlando di 120.000 imprese del terziario, delle quali 17.000 pubblici esercizi, che sono nelle condizioni di non sostenere la pesantezza di questi aumenti. E dietro questi numeri c’è anche il rischio di perdere 370.000 lavoratori complessivamente, con tutti i problemi che ne deriverebbero, incluso quello della dispersione delle competenze.

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