Stoppani: “A primavera portiamo i Talent Day sui territori per favorire l’incrocio di domanda e offerta”

19 Ottobre 2021

Si pubblica l’intervento del Presidente Stoppani al primo “Fipe Talent Day” in cui si lancia l’iniziativa sui territori per favorire l’incontro tra talento, impresa e lavoro.

Esprimo innanzitutto un ringraziamento agli ospiti -rappresentanti istituzionali, relatori, moderatori, media, esponenti delle imprese e associati-, oltre che alla nostra Direzione Sindacale, che ha voluto questo approfondimento sui temi del lavoro, strategici per ogni settore, ma in particolare per un settore come quello del Pubblico Esercizio, che fa del servizio l’elemento principale e premiante della sua offerta.

“Fipe Talent Day” vede la luce in un momento particolare, stretto tra importanti opportunità e l’emergenza di fragilità strutturali riemerse con forza dalla crisi indotta dal COVID-19.

Da una parte, infatti, chiosando Dante, l’economia del nostro Paese, dopo il percorso infernale imposto dall’emergenza sanitaria, “sta uscendo a riveder le stelle”, con dati sulla crescita del PIL 2021 che a fine anno si stanno rivelando migliori rispetto alle iniziali proiezioni.

Sono dati sulla ripresa che confortano e confermano che le imprese italiane sono vitali e reattive e gli imprenditori capaci, motivati e determinati, soprattutto se hanno una controparte istituzionale credibile e attenta a favorire le dinamiche di un Mercato sempre più globalizzato e competitivo.

Dall’altra parte, bisogna precisare che l’Italia corre per tornare al punto di partenza, e cioè al 2019 (epoca pre-Covid).

La crisi ha inoltre colpito soprattutto il Terziario di Mercato e se manca la piena ripartenza di questo comparto, che vale circa il 40% del PIL del Paese, non ci sarà né ripresa robusta e duratura, né il recupero o l’aumento dei livelli occupazionali del nostro Paese.

Tra il 1995 e il 2019, infatti, tutta la crescita occupazionale in Italia è da attribuire al Terziario di Mercato, e in particolare ai Pubblici Esercizi. E’quindi evidente che se questi comparti non ripartono sarà molto difficile migliorare stabilmente i tassi di crescita e generare nuovi posti di lavoro di buona qualità.

Sostenere le nostre imprese, quindi, almeno fino alla fine della congiuntura pandemica, serve al settore, ma anche all’economia del Paese.

Quando parliamo di sostegno alle imprese i temi sono ovviamente tanti, a partire dalle misure emergenziali a quelle di più ampio orizzonte che passano dalle grandi riforme del Paese.

Tra i tanti temi, ve n’è tuttavia uno che appare particolarmente strategico: il lavoro, nel confronto del qualedue sono gli obiettivi principali, uno quantitativo e l’altro qualitativo.

Il primo obiettivo -quantitativo- riguarda la crescita dei tassi di occupazione nel nostro Paese, da allineare alla media dei paesi OCSE, rispetto ai quali oggi registriamo ancora gravi ritardi.

Il secondo -qualitativo- concerne il miglioramento delle competenze, con la rivalorizzazione del Capitale Umano, che richiama conoscenze, abilità, esperienze, infrastrutture sociali, sulle quali costruire percorsi professionali ed imprenditoriali.

Sull’obiettivo quantitativo

L’emorragia di competenze e di posti di lavoro registrata in questi due anni -243.000 unità perse nell’anno 2020, di cui 116.000 riferite a rapporti di lavoro a tempo indeterminato- è conseguenza della profonda crisi attraversata dal settore tra lockdown e limitazioni al servizio, ma ha di fatto squarciato un velo sui nodi cruciali che il settore dovrà affrontare per rendersi attrattivo e interessante, non solo per gli esclusi per eccellenza (giovani e donne), ma in generale per chiunque abbia il desiderio di costruire un percorso professionale e di vita, partendo proprio dal nostro settore.

Si è fatto un gran (dispregiativo) parlare dei “lavoretti”, riferendosi in particolare alle mansioni del nostro settore, arrivando a coniare persino un’espressione anglosassone -la gig economy-, tacendo tuttavia che proprio grazie a questi “lavoretti” molti giovani hanno potuto finanziare i propri studi e abilitare la propria vita, imparando e dando valore ai rapporti umani, alle gerarchie, al tempo, al denaro o hanno iniziato splendide storie imprenditoriali.

Non si può negare tuttavia che ci sono problemi strutturali, anche sulle politiche del lavoro, che penalizzano certi settori, che fanno della stagionalità o della imprevedibilità dell’attività, con picchi che si alternano a momenti di stallo del lavoro, che non sono stati mai compiutamente affrontati e risolti.

Mentre il mercato va veloce, richiedendo competenze sempre più qualificate e intensità di lavoro in grado di contrastare la concorrenza, le politiche economiche finalizzate ad accrescere la dotazione di capitale umano nel Paese hanno un andamento lento e rispondono spesso a logiche fuori mercato, anche di forte componente ideologica, come l’abolizione dei voucher dimostra.

Le conseguenze si vedono, anzi, si pagano: nel nostro settore non si trovavano cuochi o camerieri -e oggi ancora di più-, negli ospedali non si trovano infermieri professionali, nel manufatturiero i tecnici digitali, con risultati paradossali in termini di tassi di disoccupazione o spesa pubblica per le generose politiche di sussidio al reddito.

I recenti dati del bollettino Excelsior segnalano per ottobre 505mila assunzioni previste dalle imprese, di cui 41.700 addetti nelle attività di ristorazione. Il dato conferma la “fame” di personale specializzato di cui il settore soffre, ma soprattutto le carenze strutturali del nostro mercato del lavoro, colpevolmente semplificate in affermazioni del tipo: “non si trovano lavoratori a causa del reddito di cittadinanza” oppure “i pubblici esercizi non trovano lavoratori perché pagano poco e male”.

Un approccio qualitativo al tema del lavoro

In questi decenni, ben prima del COVID-19, siamo riusciti a indebolire la cultura del lavoro, oggi considerato prevalentemente nella sua componente economica o, al massimo, per i diritti che dal lavoro discendono, trascurandone però i valori etico-morali che sono invece collegati ai doveri che ad esso corrispondono.

A ciò si aggiunga -come si è osservato tante volte in questi mesi di pandemia- lockdown, crisi e nuovi stili di vita che hanno messo in discussione l’equilibrio tra tempo dedicato al lavoro e quello dedicato alla vita privata, ridiscutendone modalità, luoghi e tempi di esecuzione.

Eppure, forse, il vero progresso che questa profonda e inattesa crisi ha portato non riguarda la conquista del tempo libero per recuperare vita, ma riguarda la capacità di guardare alla propria vita più complessivamente e consapevolmente.

Il punto non è quindi lavorare meno, ma imparare a lavorare meglio. E lavorare meglio significa ritornare ad amare il proprio lavoro, qualunque esso sia, perchè solo recuperando questo sentimento si riesce ad aggiungere passione, serietà, responsabilità e ambizione, che rimangono i suoi presupposti valoriali, senza i quali si svilisce l’argomento come una mera contrapposizione di interessi, tra diritti e doveri, che rallenta il raggiungimento degli obiettivi di bene comune.

Se non si recuperano questi valori fondanti, non ci saranno mai politiche del lavoro che alzino il livello della partecipazione al bene comune, perché il capitale umano si rafforza sulle competenze e sulle conoscenze, ma anche sui comportamenti e sulle motivazioni, non necessariamente economiche.

Questo dimostra la necessità e l’urgenza di un approccio culturale al lavoro del tutto nuovo, soprattutto nel settore dei Pubblici Esercizi, concentrando il dibattito sulle strutturali inefficienze del mercato del lavoro, ricercando azioni che vadano oltre la superata tradizione del “passa parola” e del “sentito dire”.

La risposta a tutto questo ruota intorno al tema della “qualità”. Se questi mesi sono stati comprensibilmente caratterizzati dal dibattito sulle politiche passive e sulla riforma degli ammortizzatori sociali, che non deve aggiungere nuovi costi a settori che assorbono mano d’opera, l’azione di politica economica dovrà essere ora centrata sulle politiche di sostegno ed incentivo all’occupazione e alla crescita del Capitale umano, grazie anche alle opportunità offerte dal PNRR.

In particolare per quanto riguarda il nostro settore, è quindi indispensabile intervenire su:

coinvolgimento delle organizzazioni di rappresentanza nella definizione dei programmi didattici con la presenza delle imprese e delle organizzazioni di rappresentanza nell’universo dell’istruzione e della formazione (its inclusi);
momenti formativi e informativi adeguati da parte dei centri pubblici per l’impiego finalizzati a rendere pubbliche e conosciute le offerte di lavoro presenti nel settore;
coinvolgimento e coordinamento tra centri pubblici per l’impiego, agenzie private per il lavoro e organizzazioni di rappresentanza;
rilancio dei programmi e dei percorsi di autoimprenditorialità in grado di fornire agli addetti del settore, anche una prospettiva imprenditoriale e una speranza di crescita sociale.
Il ruolo della rappresentanza sui temi del lavoro

Si tratta di una lista che non è certo “della spesa”, perché proprio al ruolo e alla responsabilità delle organizzazioni di rappresentanza ci si riferisce non a caso più volte.

Affrontare i temi del lavoro, dopo la tempesta del Covid, è infatti la sfida più difficile per un’organizzazione di rappresentanza come FIPE-Confcommercio, non solo per la scadenza del prossimo 31 dicembre del suo CCNL, ma soprattutto per i problemi connessi ai tassi di produttività delle imprese ai minimi storici e una situazione di forte carenza di manodopera e di continua dispersione di competenze del settore.

Innanzitutto, il contratto. Proprio il contratto collettivo nazionale di lavoro deve essere sempre più uno strumento in grado di unire le esigenze di innalzamento della produttività, con quelle di evoluzione della professionalità e delle competenze dei dipendenti.

Il contratto collettivo nazionale di lavoro è un presidio di legalità, che tutela non solo i dipendenti, ma anche le aziende da azioni sempre più diffuse di concorrenza sleale e dumping negoziale, contrastando i fenomeni di pirateria contrattuale.

È necessario che su questo fronte si possa avviare un percorso importante di presa di coscienza da parte di tutti gli attori del mercato del lavoro dando peso alla rappresentanza. Tramite questa si potrà rafforzare l’applicazione ferrea di un principio spesso richiamato dalla Federazione: “stesso mercato, stesse regole”.

Bisogna pertanto superare una stagione in cui il dirigismo culturale delle politiche del lavoro si è concretizzato in alcuni provvedimenti legislativi (come il Decreto Dignità) che hanno surrogato il ruolo svolto dalle parti sociali.

Le critiche mosse al sistema di rappresentanza, sebbene indirizzate per stimolare la sua indifferibile innovazione per rispondere alle sfide della modernità del lavoro, deve però tradursi in una maggiore e più efficace devoluzione di competenze alle stesse controparti datoriali e sindacali.

La contrattazione collettiva, e in generale le relazioni sindacali, sono la sede privilegiata all’interno della quale trovare le soluzioni più funzionali e aderenti alle esigenze del settore, di crescita della produttività, innalzamento delle competenze e ricerca di soluzioni concrete, utili alla vita quotidiana di imprese e lavoratori. In altre parole: non si può pensare di creare lavoro per decreto.

È per questa ragione che il dibattito sul “salario minimo” è spesso gravemente falsato dall’ideologia e dall’illusione di poter risolvere situazioni di illegalità con un colpo di penna del legislatore. Il contratto collettivo non è solo un presidio economico ma è un insieme di istituti, relazioni e regole che nobilitano la relazione tra impresa e lavoratore.

Ma non c’è solo il contratto nell’azione che un’Organizzazione come la nostra può mettere in campo sul tema del lavoro.

lo sforzo che la FIPE sta profondendo su questi temi è orientato non solo a richiamare attenzione sulle vere problematiche che affliggono il mercato del lavoro, ma anche a ragionare su come le organizzazioni di rappresentanza possano diventare l’attore principale di questo cambiamento.

Ecco allora la sfida che vogliamo lanciare oggi: quella di coinvolgere le FIPE-Confcommercio territoriali nell’organizzazione di vere e proprie “borse lavoro” sul proprio territorio, che siano utili per la creazione di una rete territoriale per il lavoro nei pubblici esercizi.

Abbiamo programmato per la Primavera 2022 il lancio in diverse piazze della penisola dei “Fipe Talent Day” locali per far incontrare talento, impresa e lavoro.

La ristorazione, che da sola dà lavoro ad oltre 1 milione di persone, merita davvero di mettere a frutto i suoi “talenti”, di oggi e di domani, perchè come nella ben nota Parabola “i talenti” e le capacità non vanno tenuti “nascosti”, ma vanno condivisi e messi a sistema.

Senza promettere miracoli e ben consapevoli della complessità della sfida, ci impegniamo ad investire in questo senso le nostre migliori energie.

Grazie.

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