La pandemia in corso ci presenta mese dopo mese un conto umano, sociale ed economico che sembra diventare esponenziale. FIPE stima che, alla fine di questo periodo, 50mila imprese chiuderanno, costrette – in molti casi – ad una procedura fallimentare dalle ben note conseguenze sulle loro famiglie, sulla rete dei loro fornitori, sui loro dipendenti e sulla reputazione degli stessi imprenditori.
Di fronte a questo scenario, diventa necessario e urgente agire: da un lato, per prevenire le chiusure, con gli indennizzi a fondo perduto, i cosiddetti ristori, e con misure in grado di tamponare l’emergenza. Dall’altro lato, poi, bisogna mettere in campo una strategia di gestione delle chiusure stesse, procedendo con l’istituzione di un fondo destinato a mitigare gli effetti dei fallimenti sull’indotto e sui lavoratori, ma anche attraverso la definizione di nuove regole sulla crisi d’impresa. È civile – al netto delle situazioni patologiche che vanno monitorate ed evitate – permettere a tanti imprenditori di ricostruire altre attività senza attendere in un purgatorio personale che aggiunge un prolungato stigma di inattività alla disperazione del momento.
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